I PARTIGIANI D'ITALIA

Lo schedario delle commissioni per il riconoscimento degli uomini e delle donne della Resistenza

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La Legislazione per il riconoscimento della Resistenza e dei partigiani

Legenda: d.l. = decreto legislativo; d.l.l. = decreto legislativo luogotenenziale; d.l.c.p.s. = decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato; l. = legge

La prima Commissione nazionale e l’Ufficio patrioti (9 novembre 1944)

La legislazione in favore dei partigiani non ebbe quel percorso lungo e accidentato che aveva conosciuto in passato quella in favore dei reduci delle battaglie risorgimentali. Infatti già nei primi mesi seguiti alla Liberazione di Roma (4 giugno 1944) il riconoscimento dei valori morali della guerra partigiana e l’assistenza agli ex combattenti era stata percepita come un dovere dal governo Bonomi.

Con d.l.l. 9 novembre 1944, n. 319 fu costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri una Commissione nazionale e un Ufficio per i patrioti dell’Italia occupata con il compito «di studiare, con criteri unitari, tutti i problemi relativi all’attività svolta dai patrioti nella lotta contro i tedeschi e contro il fascismo, e di promuovere i necessari provvedimenti» (art. 2). Essa era presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri e composta dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con la funzione di vicepresidente, da un Sottosegretario di Stato designato dal Ministro della guerra, dal Sottosegretario per la stampa e le informazioni e da quattro esperti, nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri medesimo.
Sotto il profilo operativo, l’Ufficio patrioti si proponeva di costituire cinque commissioni (o comitati) composte da un minimo di cinque membri tra militari e civili. Il Comitato di liberazione nazionale (Cln) avrebbe provveduto a nominare dieci dei membri di queste commissioni, che avrebbero accertato la qualifica di partigiano (patriota) di coloro che ne avessero fatto richiesta. Tra i suoi fini vi era anche quello di contrastare l’attività di enti privati, volta a rilasciare arbitrariamente le qualifiche di partigiano. Inoltre, l’Ufficio patrioti si proponeva di unificare tutte le iniziative private riguardo all’assistenza ai partigiani, incorporando enti e comitati già esistenti. Esso si sarebbe occupato anche della riesumazione delle salme dei partigiani caduti e rimasti insepolti in montagna o nei luoghi di combattimento e del loro seppellimento con i dovuti onori nei cimiteri più vicini, in attesa della loro definitiva tumulazione nei cimiteri dei paesi di origine.

Istituzione di un Alto commissariato per i reduci (1° marzo 1945)

Con d.l.l. 1° marzo 1945, n. 110 si istituiva un Alto commissariato per i reduci, posto sotto la dipendenza della Presidenza del Consiglio dei ministri, che avrebbe diretto, vigilato e coordinato l’attività di tutti gli organi, gli uffici, le fondazioni, le associazioni e i comitati che si proponevano scopi di assistenza di guerra. Si consideravano reduci di guerra anche i partigiani (patrioti) dal momento in cui fosse cessata nei loro riguardi la competenza del Ministero per l’Italia occupata e di quello della guerra. In questo senso, l’Alto commissariato per i reduci avrebbe provveduto all’assistenza morale e materiale attraverso l’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi) e un suo rappresentante avrebbe fatto parte della giunta che lo doveva assistere.

Assistenza ai patrioti dell’Italia liberata (5 aprile 1945)

La Commissione e l’Ufficio patrioti furono soppressi alla vigilia della Liberazione con d.l.l. 5 aprile 1945, n. 158. Il nuovo decreto prevedeva che fosse affidata al Ministero dell’Italia occupata – che avrebbe agito di concerto con quello della guerra – l’assistenza morale e materiale dei partigiani che operavano nei territori delle zone avanzate o sotto il Governo militare alleato, così come il loro reimpiego nella guerra di liberazione. Per il riconoscimento delle qualifiche spettanti ai partigiani si istituiva in Roma una nuova Commissione presieduta da un rappresentante dell’Anpi e composta da dieci membri, di cui due ufficiali delle forze armate, sei rappresentanti designati dall’Anpi, un rappresentante dell’Associazione nazionale combattenti e un rappresentante dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra. Per la validità delle deliberazioni della Commissione era necessaria la presenza di almeno sette dei suoi membri.

A questa Commissione se ne affiancava un’altra con il compito di esaminare le proposte delle ricompense da conferirsi ai patrioti; doveva essere composta da quattro membri: due ufficiali delle forze armate e due membri dell’Anpi. Le due Commissioni erano poste sotto la dipendenza della Presidenza del Consiglio dei ministri. Per entrambe le Commissioni era istituito un unico Ufficio di segreteria, incaricato della raccolta della documentazione relativa all’attività dei partigiani da sottoporsi al giudizio delle Commissioni. L’Ufficio avrebbe provveduto anche a rilasciare certificati di qualifica o di ricompensa in conformità alle decisioni delle stesse Commissioni. La documentazione dell’attività partigiana relativa alle zone ancora occupate o liberate di recente sarebbe stata trasmessa progressivamente all’Ufficio di segreteria delle Commissioni dal Ministero dell’Italia occupata che avrebbe operato in favore dei partigiani di concerto con quello della guerra. Inoltre, qualora se ne fosse ravvisata la necessità, il d.l.l. 158/1945 prevedeva l’istituzione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con i Ministeri per l’Italia occupata, della guerra e del tesoro, di commissioni locali con le attribuzioni previste dagli artt. 3 e 4 e con giurisdizione sui territori indicati dal decreto medesimo.
Contro le decisioni della Commissione per il riconoscimento delle qualifiche spettanti ai partigiani era ammesso ricorso a una Commissione di secondo grado, presieduta da un rappresentante dell’Anpi e composta da dodici membri, di cui tre ufficiali delle forze armate, sette designati dall’Anpi e due provenienti dall’Associazione nazionale dei combattenti e dall’Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra; per la validità delle deliberazioni era necessaria la presenza di almeno sette membri. Anche contro le decisioni della Commissione per l’esame delle proposte di ricompense da conferirsi ai partigiani era ammesso il ricorso a una Commissione di secondo grado, in questo caso presieduta da un ufficiale delle forze armate e composta di otto membri, di cui quattro ufficiali delle stesse forze armate e quattro designati dall’Anpi; per la validità delle deliberazioni era necessaria la presenza di almeno cinque componenti. Entrambe le Commissioni avrebbero avuto sede in Roma e sarebbero state poste alla diretta dipendenza della Presidenza del Consiglio dei ministri, sempre di concerto con i Ministeri per l’Italia occupata e della guerra.
L’attribuzione delle qualifiche sarebbe avvenuta sulla base di precisi criteri: quella di patriota (partigiano) combattente sarebbe stata riconosciuta agli organizzatori e ai componenti stabili o attivi di bande che avevano effettivamente partecipato ad azioni di combattimento o di sabotaggio e a coloro che avevano compiuto in qualunque modo atti di eccezionale ardimento nella lotta di liberazione; quella di caduto per la lotta di liberazione sarebbe stata attribuita a tutti coloro che, in qualità di combattenti o di prigionieri politici o di ostaggi o vittime di rappresaglie avevano perso la vita ad opera dei nazi-fascisti; quella di mutilato o invalido per la lotta di liberazione era riconosciuta agli stessi della precedente categoria che avevano riportato mutilazioni o invalidità; mentre a coloro che pur non avendo la qualifica di patriota combattente, ma avevano svolto con rischio della propria vita rilevante attività nella lotta di liberazione o collaborato con bande attive, sarebbe spettata la qualifica di benemeriti della lotta di liberazione.
Il relativo ritardo (2 maggio) con cui venne pubblicato questo decreto, che peraltro non ebbe mai pratica attuazione, fu dovuto probabilmente all’incertezza da parte del governo nell’affrontare alcune situazioni impellenti, che dopo il 25 aprile 1945 si sarebbero accentuate maggiormente: l’integrazione dei patrioti (partigiani) combattenti nell’esercito regolare e le pensioni da assegnare ai mutilati e alle famiglie dei morti durante le operazioni di guerriglia.

Anpi riconosciuta come Ente morale (5 aprile 1945)

Il d.l.l. 158/1945 assegnava, come abbiamo visto, all’Anpi, costituita il 6 giugno 1944 in Roma (due giorni dopo la liberazione della città) dal Cln del Centro Italia, un ruolo centrale nelle Commissioni di primo e di secondo grado per il riconoscimento delle qualifiche di partigiano. Essa era stata eretta in ente morale con d.l.l. dello stesso 5 aprile 1945, n. 224, che ne approvava lo statuto organico, recante la data del 21 ottobre 1944. Con d.l.l. 3 maggio 1945, n. 350 si assegnava un distintivo onorifico ai partigiani (definiti dal decreto con la dizione “patrioti”) da parte del Ministero per l’Italia occupata.

Premi di solidarietà nazionale (20 giugno 1945)

Il successivo d.l.l. 20 giugno 1945, n. 421 provvedeva in parte a risolvere il problema delle indennità ai partigiani. Coloro a cui era stata riconosciuta la qualifica di patriota combattente – cioè agli organizzatori e agli appartenenti a bande partigiane che avevano partecipato a combattimenti o azioni di sabotaggio e a coloro che anche individualmente avevano compiuto atti di eccezionale ardimento nella lotta di liberazione (d.l.l. 158/1945, art. 9, lettera a) – sarebbero stati ricompensati con un premio di solidarietà nazionale di mille lire; mentre per coloro che avevano combattuto in formazioni armate per almeno tre mesi anche non continuativi il premio sarebbe stato di cinquemila lire. Erano esclusi dal beneficio coloro che tra l’8 settembre 1943 e il 9 maggio 1945 avevano commesso delitti comuni, riportando una condanna detentiva superiore a tre mesi. Per i partigiani che avevano riportato nella lotta di liberazione ferite gravi, invalidità o mutilazioni, il premio di solidarietà era elevato a diecimila lire; mentre alle famiglie di quelli dispersi o caduti in combattimento o per rappresaglia o deceduti in seguito a ferite o malattie contratte in servizio il premio sarebbe stato di ventimila lire. I detti premi di solidarietà non erano cumulabili con altri premi concessi dallo Stato ai partigiani o alle loro famiglie, mentre restava impregiudicato il diritto alla pensione.

Disposizione concernenti il riconoscimento delle qualifiche partigiane e l’esame delle proposte di ricompensa (21 agosto 1945)

Con il successivo d.l.l. 21 agosto 1945, n. 518 – che costituisce il cardine della legislazione sul partigianato – si affrontò definitivamente il problema del riconoscimento delle qualifiche dei partigiani e della loro ricompensa. Il nuovo decreto era stato particolarmente invocato non soltanto dai diretti interessati, ma anche dalle autorità governative, in quanto la “questione partigiana”, all’indomani del 25 aprile, aveva assunto un carattere non soltanto politico e sociale, ma anche di ordine pubblico. È questo il decreto che Istituisce le Commissioni regionali e che disciplina definitamente l’esame delle proposte di ricompensa.

Benefici per i partigiani riconosciuti

Con d.l.l. 4 agosto 1945, n. 467 dunque già prima dell’istituzione delle Commissioni incaricate del riconoscimento dei singoli partigiani, le disposizioni concernenti le pensioni di guerra venivano estese ai partigiani, deportati e congiunti dei caduti per la lotta di liberazione. Nel secondo comma dell’art. 3 si faceva riferimento a un successivo decreto che avrebbe stabilito le modalità per il riconoscimento e la liquidazione delle pensioni.

Il d.l.l. 21 dicembre 1945, n. 917 concedeva un assegno giornaliero di venti lire ai partigiani combattenti disoccupati e in condizione di indigenza. L’assegno era integrato da un altro di quattordici lire giornaliere per ogni figlio di età inferiore ai quindici anni e di diciassette lire giornaliere per la moglie e per ogni figlio di età dai quindici ai diciotto anni. Tali assegni sarebbero stati elargiti per 180 giorni.

Il d.l.l. 16 febbraio 1946, n. 28, concedeva un assegno giornaliero di venti lire ai partigiani combattenti disoccupati e in condizione di indigenza. L’assegno era integrato da un altro di quattordici lire giornaliere per ogni figlio di età inferiore ai quindici anni e di diciassette lire giornaliere per la moglie e per ogni figlio di età dai quindici ai diciotto anni. Tali assegni sarebbero stati elargiti per 180 giorni.

Il d.l.l. 26 aprile 1946, n. 240 concedeva ai reduci della guerra 1940-1943 e della lotta partigiana una serie di agevolazioni per la costruzione o assegnazione di case, per la riparazione di edifici rurali danneggiati o distrutti durante la guerra, per la concessione di terreni in enfiteusi e per il credito a favore di singoli reduci artigiani o costituiti in cooperative.

Il d.l.c.p.s. 6 settembre 1946 n. 93 equiparava i partigiani combattenti ai militari volontari che avevano operato con le unità regolari delle forze armate nella guerra di liberazione, così come i partigiani caduti nella guerra di liberazione erano equiparati ai militari caduti in guerra.

Con d.l.c.p.s. 16 settembre 1946, n. 372 le pensioni di guerra ai partigiani che ne avevano diritto vennero equiparate a quelle dei militari.

Le leggi della Repubblica

Con il d.l. 19 aprile 1948, n. 517 la neonata Repubblica italiana emanava le norme per l’assunzione e la liquidazione da parte dello Stato dei debiti contratti dalle formazioni partigiane ai fini della lotta di liberazione.

Con legge 21 marzo 1958, n. 285 il Corpo volontari della libertà (Cvl) fu riconosciuto, ad ogni effetto di legge, «come Corpo militare organizzato inquadrato nelle Forze armate dello Stato per l’attività svolta fino all’insediamento del Governo militare alleato nelle singole località» (art. 1).

Dieci anni dopo, con la l. 28 marzo 1968, n. 341 altro atto normativo decisivo per il partigianato italiano, con cui si istituiva una Commissione unica nazionale in sostituzione delle Commissioni regionali – si riaprivano i termini per il riconoscimento delle qualifiche dei partigiani e per l’esame delle proposte di decorazione militare. Detta legge sarebbe stata integrata dalla l. 28 maggio 1981, n. 287, che estendeva al 31 dicembre 1979 i termini per inoltrare la domanda di riconoscimento della qualifica di partigiano o di patriota. Con la l. 11 maggio 1970, n. 290 il termine stabilito dall’art. 12 del d.l.l. 518/1945 era prorogato al 31 dicembre 1970, mentre la successiva l. 21 dicembre 1974, n. 702 estendeva i termini di presentazione delle domande fino al giugno 1975 «limitatamente ai cittadini italiani residenti, all’epoca della lotta partigiana, nelle zone della regione Friuli-Venezia Giulia e a quelli che combatterono all’estero nelle formazioni italiane o straniere» (art. 1).
Va ribadito che in tutti i provvedimenti elencati, la riapertura dei termini riguardava solo la possibilità di presentare domanda, restando ferma la condizione che la documentazione esibita per il riconoscimento della qualifica di partigiano e delle medaglie al valor militare fosse stata acquisita dalla competente Commissione entro il 30 giugno 1948.

Gli ultimi provvedimenti legislativi a favore dei partigiani, integranti la legislazione già esistente, furono la l. 16 marzo 1983, n. 75, che rilasciava un diploma d’onore attestante la qualifica di “combattente per la libertà 1943-1945” (art. unico); la l. 6 agosto 1988, n. 351, che riapriva i termini per la concessione della medaglia d’oro al valor militare alle province di La Spezia, Caserta, Pordenone, e Brescia ed ai comuni di Verona, Castellino Tanaro (CN), Guardistallo (PI), Fivizzano (MC), Arcevia (AN), Feletto Canavese (TO), Giaveno (TO) e Palagano (MO); la l. 6 novembre 1990, n. 323, che estendeva i benefici della l. 434/1980 ad altre categorie di militari che avevano partecipato alla lotta di liberazione, e la l. 14 luglio 1993, n. 249, che attribuiva allo Stato (Ministero della pubblica istruzione e Ministero per i beni culturali e ambientali) gli oneri relativi alla celebrazione nazionale del cinquantenario della Resistenza e della guerra di liberazione. Essa fu prorogata dalla l. 20 maggio 1997, n. 134.