I PARTIGIANI D'ITALIA

Lo schedario delle commissioni per il riconoscimento degli uomini e delle donne della Resistenza

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Commissione regionale Triveneta per il riconoscimento della qualifica di partigiano

Composizione
  • Nome: Commissione Regionale Triveneta per il riconoscimento delle qualifiche di partigiano
  • Giurisdizione: Tre Venezie (Veneto; Trentino Alto Adige; Venezia Giulia fino a maggio 1948)
  • Sede: Padova, presso i locali della Prefettura
  • Presidente: Col. Sabatino Galli, Attilio Gombia, Col. Camillo Rivetti, Col. Carlo Ravnich
  • Rappresentante Ministero della guerra
    • 1. Col. Camillo Rivetti
    • 2. Magg. Ennio Caporizzi
    • 3. Magg. Giuseppe Malaspina
    • 4. Cap. Freg. Gianroberto Burgos di Pomaretto
    • 5. Cap. Guido Bolzan
  • Rappresentanti Anpi
    • Formazioni: Garibaldi
      • 1. Francesco Pesce
      • 2. Lionello Geremia
      • 3. Ardito Fornasir
    • Formazioni: Giustizia e Libertà
      • 1. Luciano Comessatti
      • 2. Dino Fiorot
    • Formazioni: Brigate del Popolo
      • 1. Moro Giorgio
      • 2. Giuseppe Armano
    • Formazioni: Brigate Matteotti
      • 1. Brigate Matteotti
      • 2. Orlandino Bettarel
      • 3. Giovanni Giavi
    • Formazioni: Brigate Autonome
      • 1. Giuseppe Talamo
      • 2. Duilio Gambardella
      • 3. Antonio Possagno
      • 4. Giorgio Guarnieri
      • 5. Francesco Rampolla
Insediamento e composizione

La Commissione Triveneta, istituita come le altre in base alle disposizioni contenute nel d.l.l. 21 agosto 1945, n. 518, iniziò ad operare all’inizio del 1946 presso la sede della Prefettura di Padova.
Dal punto di vista della giurisdizione la Commissione si ritrovò ad insistere su un’area vasta che ricalcava la delimitazione geografica e organica dei territori che rispondevano al Comando militare regionale Veneto (articolazione regionale del Cvl), ossia le zone Friuli, Piave, Alto Adige, Garemi, Ortigara, Monte Grappa, Treviso, Venezia Mestre, Padova, Vicenza, Verona montagna, Verona pianura e Rovigo.
Il fatto di dover estendere il proprio operato a tre regioni diverse e a territori di non facile circoscrizione come l’Alto Adige e la Venezia Giulia, i cui confini erano oggetto di contese diplomatiche tra l’Italia e altre potenze straniere alla fine del conflitto, pose notevoli problemi logistici alla Commissione.
Al momento della sua istituzione la Commissione Triveneta dovette fare i conti con migliaia di fascicoli aperti e con numerose (e tra loro difformi) procedure di riconoscimento avviate nei mesi precedenti a livello territoriale da molti soggetti diversi. Molta era la documentazione prodotta ad esempio da organi e commissioni nati in seno agli uffici stralcio provinciali, ai comandi di zona o per iniziativa dei comandanti delle formazioni più grandi che si erano attivati per raccogliere dati e schede personali allo scopo di attribuire le qualifiche di partigiano. La procedura prevedeva la concessione delle qualifiche e la liquidazione degli indennizzi a tutti coloro che figuravano negli elenchi nominativi redatti dalle sezioni Anpi provinciali e inviati per accettazione ai rispettivi comandi dei distretti militari. Un’attività che si era rivelata impellente e urgente soprattutto per regolarizzare la posizione di coloro che avevano agito come infiltrati nelle fila della Rsi e che correvano il rischio di trovarsi in posizioni difficili ma anche, e soprattutto, per stabilire un criterio di discernimento tra chi aveva dato un contributo fattivo al movimento partigiano e i molti che vi si erano avvicinati solo a ridosso della Liberazione. La corsa alle certificazioni era infatti spinta da motivazioni molteplici: da una parte la richiesta di un riconoscimento all’opera prestata durante la clandestinità ma, dall’altra, anche il bisogno tutt’altro che trasparente da parte di alcuni di regolarizzare la propria posizione a fronte di condotte decisamente poco lineari, spesso giustificate facendo ricorso al tema del doppio gioco e del “sabotaggio dall’interno” delle formazioni fasciste e naziste.

L’attivitài

La Commissione Triveneta si trovò così a dover riordinare una mole notevole di documentazione. Solo il Comando militare regionale Veneto aveva fino alla fine del 1945 aperto circa 4.300 fascicoli istruttori, passati poi per competenza alla Commissione, mentre molto più numerose erano le pratiche istruite dai singoli uffici provinciali. Il Comando piazza di Treviso segnalava ad esempio di aver elaborato, alla data del 6 settembre 1945, domande relative a 5.000 brevetti di partigiano, a 4.000 brevetti di patriota e a 4.500 attestati di benemerenza. Quello di Belluno invece aveva concesso complessivamente 2.372 brevetti mentre il Comando di Venezia comunicava di aver avviato le pratiche per 1.297 brevetti di partigiano, 1.183 brevetti di patriota e 3.000 attestati di benemerenza.
Da ricordare, inoltre, l’operato dei Comandi Militari Provinciali, che avevano istituito commissioni interne incaricate di vagliare la posizione di ufficiali e sottufficiali che avevano prestato servizio nella Rsi. Strutture che continuarono il loro operato anche dopo l’istituzione della Commissione Triveneta e con la quale collaborarono inviando pareri sulle attribuzioni, i fascicoli istruttori e tutti gli elementi ritenuti utili per risolvere i casi dubbi.
A fronte di tale situazione il Comando militare regionale Veneto fu costretto diverse volte a mettere in guardia i Comandi di zona e di piazza:

    • «È stato notato come taluni Comandi vengano frequentemente sollecitati al rilascio di attestati o dichiarazioni relativi ad attività patriottiche. Trattasi spesso di richieste che provengono da dubbi elementi o dai soliti professionisti dell’opportunismo che cercano di magnificare, per il loro personale interesse, occasionali azioni di poca importanza o tardive resipiscenze, o peggio ancora tentano di mascherare la loro effettiva collaborazione con i tedeschi e neo-fascisti, presentandola quale opera di spionaggio spontaneo o di boicottaggio fra le file stesse del nemico».

Le insidie di tale situazione non sfuggivano al Comando generale del Cvl, che il 5 giugno del 1945 scriveva a tutti i Comandi Militari Territoriali:

    • «Terminato il periodo clandestino e giunta l’ora della resa dei conti moltissimi si preoccupano di farsi rilasciare al più presto rapporti informativi e dichiarazioni che documentino la loro attività durante il periodo della resistenza. […] Si ha la sensazione che i documenti in oggetto vengano rilasciati con una facilità che rasenta talvolta la leggerezza e redatti in una forma così vaga e lusinghiera per la quale bisognerebbe dedurre che tutti indistintamente [n.d.r. sottolineato nel testo] abbiano dato “contributo essenziale al movimento”. E questo purtroppo non è, come ben sanno coloro che effettivamente si sono dedicati, anima e corpo, alla Causa della libertà.È bene che si sappia, e di ciò dovranno essere resi edotti tutti i comandi ed Enti dipendenti, che della veridicità di questo contenuto nei rapporti informativi e nelle dichiarazioni sono personalmente [n.d.r. sottolineato nel testo] responsabili coloro che vi appongono la propria firma».

    A rendere poi sempre più invitante la qualifica di partigiano anche il fatto che il Comando militare regionale Veneto avesse, nel giugno del 1945, promosso presso tutti i Cln locali un’azione volta a favorire la riammissione nella vita civile dei partigiani attraverso canali di assunzione privilegiati presso ditte locali, forze di polizia partigiana e uffici preposti all’assistenza dei reduci. Una campagna che, come noto, non si tradusse in un miglioramento delle posizioni professionali ed economiche della maggior parte degli ex combattenti, ma che però fornì ulteriori motivazioni a chi mise in campo comportamenti spregiudicati all’insegna dell’opportunismo.
    Ad aumentare le sovrapposizioni e le zone d’ombra contribuirono anche le qualifiche approvate dall’Amg veneto attraverso la concessione dei «certificati Alexander», destinati a coloro che erano stati riconosciuti idonei da un’apposita Commissione formata da rappresentanti degli Impr provinciali, delle locali prefetture, del Cln e dell’Amg. Attestazioni che spesso suscitarono dure reazioni da parte di molti ex partigiani, comandanti di formazione e commissari politici, i quali denunciarono in diverse occasioni qualifiche concesse a personaggi ritenuti moralmente indegni. Inoltre, almeno in un caso, prontamente denunciato dal Comando militare regionale Veneto, qualcuno ricevette sia il «certificato Alexander» da parte dell’Amg sia la qualifica di partigiano concessa dal Comando di zona, incassando così due volte il rispettivo assegno .
    Per sveltire l’iter delle domande la Commissione si appoggiò soprattutto ai comitati provinciali dell’Anpi, ai quali venne richiesto di svolgere un «lavoro preparatorio» che prevedesse la compilazione di schede e fogli notizie per ciascun richiedente e la verifica a monte dei casi di indegnità. Da un punto di vista procedurale la Commissione adottò una serie di linee guide di seguito riassunte:

      • «Non appena verrà dato [

    sic

      • ] comunicazione dell’avvenuta compilazione o dell’esistenza certa del materiale necessario la Commissione invierà due referendari, i quali esamineranno la posizione di ogni partigiano nell’ordine seguente:

     

      • a- Volontari caduti, feriti aventi diritto al trattamento di pensione;

     

      • b- Volontari delle formazioni di montagna

     

      • c- Volontari delle formazioni cittadine, Comandi, Uffici informazioni e servizi.

     

      • Per ciascuna brigata o comando o servizio verranno nominati a referendari due membri della Commissione, di cui uno facente parte della formazione (autonoma, Garibaldi, G.L., Matteotti) cui il candidato appartiene e uno di organizzazione diverse [

    sic

      • ].

     

      I due referendari controlleranno in ogni foglio le firme del Comandante e del revisore e ne definiranno l’autenticità […]. Accertati tali dati, i referendari esamineranno particolareggiatamente il capoverso a) Servizio prestato nel C.V.L. per accertare se sussistano le condizioni di tempo e di attività prescritte nel D.L. N. 518 […]. Quando sia palese la mancanza delle condizioni necessarie e l’esistenza di quelle di esclusione, i referendari scartano il foglio notizie allegandovi un talloncino in cui viene riportato il motivo della esclusione […]».

    La Commissione regionale divenne il punto di riferimento dei molti organismi nati con le stesse funzioni e che continuarono ad operare anche dopo i primi mesi del 1946. Il Comando militare regionale Veneto ad esempio continuò ad istituire periodicamente delle piccole commissioni interne per vagliare i casi più complessi e ambigui riguardanti ufficiali e sottufficiali, passando il materiale istruttorio raccolto e le proprie valutazioni alla Commissione Triveneta. I commissari inoltre, come nel caso delle altre Commissioni regionali, si recavano periodicamente presso le sedi provinciali dell’Anpi per incontrare i Comandanti delle formazioni e discutere la posizione dei partigiani richiedenti in base alla brigata di appartenenza. In questo modo fu possibile decentrare soprattutto la raccolta del materiale istruttorio, lasciando alla Commissione però il compito di pronunciarsi definitivamente su ogni caso.

    Problemi e bilanci in un difficile dopoguerra

    La Commissione si trovò alle prese con un territorio vasto e al contempo complicato dalle dinamiche proprie delle regioni di confine. Problemi notevoli li posero soprattutto i territori della Venezia Giulia, oggetto di una complessa contesa diplomatica tra Italia e Jugoslavia. Il Trattato di Belgrado del giugno 1945 aveva sancito la spartizione provvisoria dell’area tra gli Alleati e l’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, situazione che andò incontro ad un primo cambiamento solo con il trattato di pace del 10 febbraio del 1947, quando venne istituito il Territorio Libero di Trieste (TLT). Il TLT però non sciolse il nodo dell’appartenenza statuale di Trieste e del suo hinterland (sottoposti ad amministrazione alleata) e della parte nordoccidentale dell’Istria (affidata alle autorità militari jugoslave) prolungando una situazione che impediva nei fatti alle autorità italiane di agire su quei territori in quanto posti al di fuori della sua giurisdizione.
    In questo contesto non fu semplice per la Commissione comprendere in che modo esercitare le proprie funzioni. Le principali criticità si riscontrarono soprattutto nel determinare le aree di competenza rispetto a partigiani italiani, sloveni e croati che avevano collaborato con le formazioni italiane ma che risiedevano in territori ancora sotto amministrazione militare provvisoria alleata o jugoslava o per quegli italiani che avevano combattuto nelle formazioni slovene e croate. Questione che si poneva anche nel vagliare i fascicoli di chi aveva militato in una formazione italiana importante come la “Garibaldi-Natisone”, che negli ultimi mesi della guerra era stata inquadrata per questioni operative nel IX Korpus dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia e rispetto alla quale si decise, solo dopo molte discussioni e sentito il parere di Cadorna, di farla rientrare nelle competenze del Commissione Triveneta.
    Per tutta la durata del suo incarico la Commissione Triveneta dovette fare i conti con numerose difficoltà, determinate frequentemente anche dai rapporti conflittuali che dividevano le diverse anime della Resistenza e che in questi territori avevano risentito della prossimità di una frontiera contesa che aveva imposto scelte militari e di campo più radicali rispetto alle altre zone d’Italia. Questioni ampie, di difficile soluzione, che si assommarono alle difficoltà quotidiane di uffici alle prese con pratiche smarrite, dichiarazioni e modelli non conformi e continui scavalcamenti operativi. Una situazione che si protrasse fino al gennaio del 1950, quando la Commissione Triveneta, esauriti i suoi compiti, venne sciolta.

    Una nuova Commissione per la Venezia Giulia

    Il protrarsi nel tempo della questione giuliana e le difficoltà poste da un movimento partigiano composito dal punto di vista delle appartenenze nazionali e sul quale insistevano dinamiche politiche aggravate dal conflitto diplomatico in corso tra Italia e Jugoslavia furono forse alcuni dei motivi che spinsero all’istituzione di una Commissione che avesse come competenza territoriale esclusiva la Venezia Giulia. La Commissione giuliana venne istituita con D.Lgs. del 3 maggio 1948, n. 833, con il compito di riconoscere le qualifiche spettanti «ai cittadini italiani che, durante la lotta di liberazione, [avevano] partecipa[to] all’attività svolta dal Corpo Volontari della Libertà nel territorio della Venezia Giulia». Rispetto alle altre venne dotata di un organico ridotto, comprendente un Presidente e sei commissari (quattro in quota Anpi e due per il Ministero della Difesa). Di seguito si indicano i componenti della Commissione all’inizio dell’attività:

    • Presidente: Federico Ditri
    • Rappresentante Ministero della guerra
      • 1. Cap. Giuseppe Buonincontri
      • 2. Ten Mario Donarelli
    • Rappresentanti Anpi
      • Formazioni: Garibaldi
        • 1. Bruno Steffè
        • 2. Vinicio De Bianchi
      • Formazioni: Cvl
        • 1. Giuliano Dell’Antonio
        • 2. Mario Zanini

    La Commissione trovò collocazione all’interno della prefettura di Gorizia e ad essa la Commissione Triveneta trasferì per competenza il vaglio di tutte le domande pervenute da quei territori. Essa risulta essere stata operativa almeno fino al maggio del 1950, Inoltre, nel fondo Ricompart le schede prodotte da questa Commissione si trovano all’interno degli schedari attribuiti alla Commissione Triveneta.

    [Irene Bolzon]