[Qui è riportata la composizione della Commissione all’inizio della sua attività]
La Commissione regionale piemontese si insedia nel dicembre del 1945 a Torino in corso Vittorio Emanuele 73. Ne è presidente il generale Alessandro Trabucchi, che fu al vertice del Comando militare regionale piemontese (Cmrp) dal luglio del 1944.
Trabucchi era già stato sostenitore del progetto di smobilitazione, apprestato durante il periodo clandestino dal generale Carlo Drago e dal colonnello Massimo Contini, che avrebbe potuto rispondere alle necessità di identificare con un riconoscimento ufficiale coloro che avevano realmente aderito al movimento partigiano, espungendo dal conteggio dei combattenti tutti quelli che vi erano entrati in modo massiccio, spesso per ragioni di mera convenienza, dopo il gennaio del 1945. Era convinto che fosse importante riconoscere fin da subito i meriti, «certi e sicuri», dei partigiani, trasformando in questo modo quel movimento irregolare e clandestino che era stata la Resistenza in un insieme di “soldati” fedeli al nuovo Stato, per evitare che degenerasse in una massa di avventurieri. Per raggiungere questo obiettivo si erano predisposti dei provvedimenti di natura tecnica che avrebbero portato alla compilazione di fogli notizie sull’attività dei combattenti, alla corresponsione di premi di smobilitazioni, all’istituzione di «commissioni interprovinciali di valutazione». Il progetto non venne tuttavia attuato per la progressiva perdita di potere e il conseguente scioglimento del Corpo volontari della libertà (Cvl).
Alla luce di tali presupposti Trabucchi, come presidente della Commissione, dichiara fin da subito la sua intenzione di interpretare il decreto luogotenenziale n. 518 dell’agosto 1945 con uno spirito di «rigorosa severità» in quanto i riconoscimenti costituiscono soprattutto «prezioso titolo di onore». Nella fattispecie, stabiliti i criteri generali di valutazione, successivamente delineati con maggior dettaglio, si fa immediatamente presente che le condizioni di tempo e le attività stabilite nell’articolo 7 del decreto sono necessarie ma non sufficienti. Si pone poi in evidenza una serie di motivi di esclusione e si sottolinea l’importanza di una totale imparzialità di giudizio per contemperare «i diritti del singolo con gli interesse della collettività».
La Commissione è costituita da undici membri, sette ufficiali in servizio permanente effettivo, un ufficiale della Polizia e tre civili. Come stabilito dall’articolo 1 del d.l.l. 21 agosto 1945, n. 518 e dal primo decreto di nomina, fanno parte della Commissione due membri nominati dal Ministero della Guerra, Antonio Guermani e Salvatore Teja, e otto dall’Associazione nazionale partigiani d’Italia: Vittorio Della Peruta e Gino Cattaneo per le formazioni Matteotti, Ivanoe Bellino e Riccardo Richiardi per quelle di Giustizia e Libertà, Tommaso Vallero e Massimo Tani per le Garibaldi, Giuseppe Falzone e Mario Bassignana per gli Autonomi. Ricopre l’incarico di segretario generale il maggiore Giacomo Canibus (Giorgi), partigiano combattente e militare di carriera.
Fin dall’insediamento Trabucchi fa presente al Ministero, in forma riservata, la necessità di corrispondere un equo compenso ai membri della commissione in modo da poter garantire il massimo impegno nell’esaminare in modo imparziale la grande quantità di documentazione prevista senza rischiare «influenze di partito» e «suggestioni di privati».
Assunta la funzione di referendari, i membri si dividono in gruppi di due e procedono all’esame delle richieste suddivise per formazioni di appartenenza. Dopo sei mesi, a partire dal 1° giugno 1946, i gruppi di lavoro vengono ridefiniti: Bassignana e Vallero analizzano le richieste provenienti dalle formazioni autonome, Tani e Ricchiardi dalle Garibaldi, Bellino e Della Peruta dalle GL, Cattaneo e Falzone dalle Matteotti.
Le operazioni della segreteria vengono mansionate con grande attenzione: si individuano undici passaggi, ognuno dei quali è espletato da una o due persone appositamente adibite. Il personale di segreteria, come da istruzioni provenienti dal Ministero, deve avere a sua volta i requisiti per essere riconosciuto partigiano o, almeno, patriota. Dopo aver ricevuto dai referendari l’indicazione della formazione che si intende esaminare, la segreteria richiede i relativi fogli notizie all’Ufficio stralcio del Cmrp per predisporli poi in una cartellina, in ordine alfabetico, da sottoporre ai referendari. Questi, dopo aver effettuato l’esame, riconsegnano la documentazione alla segreteria suddivisa in apposite cartelline colorate a seconda della qualifica assegnata. In base alla qualifica per ciascun volontario viene compilata una scheda colorata già predisposta. Tali schede sono poi inserite in ordine alfabetico in appositi schedari. Seguono le compilazioni delle delibere e degli elenchi che vengono poi trasmessi all’Ufficio partigiani sezione V del Ministero dell’assistenza post-bellica e ai Comuni dove la formazione esaminata ha operato.
Nelle prime sedute del 1946 la Commissione affronta il problema di come valutare i combattenti che hanno fatto parte, nel periodo precedente all’esperienza partigiana, di reparti appartenenti alla Rsi. Questi vengono distinti in «formazioni di parte», come le Brigate Nere, le SS, la Decima Mas ecc., e in «formazioni militari tecniche», come ad esempio la Gnr forestale. L’avere militato nelle prime per un certo tempo determina il non riconoscimento «per indegnità». Fanno eccezione i caduti, i feriti, i decorati, coloro i quali, catturati e arruolati, disertano entro un mese e gli ex internati che hanno disertato entro tre mesi dall’arrivo in Italia. Non vengono riconosciuti quelli che hanno interrotto il servizio nel partigianato per propria volontà, quelli che sono stati discontinui o che hanno riportato punizioni disciplinari per mancanze rilevanti o che, dopo l’8 settembre, sono stati coinvolti in reati comuni e comunque coloro che in qualsiasi modo hanno tradito la causa partigiana. I quesiti più rilevanti sono oggetto di discussione e successiva approvazione «a mezzo di votazione».
Nel marzo del 1946 Trabucchi rammenta ai referendari la necessità di compilare lo stato giuridico della formazione «mentre effettuano il lavoro di discriminazione dei partigiani di una data brigata». Si tratta di un documento che mette in evidenza la storia della formazione, le principali azioni effettuate, la zona operativa, l’armamento in dotazione e i quadri dirigenti alla smobilitazione. Il riconoscimento della formazione è pertanto strettamente in relazione all’iter dell’assegnazione della qualifica agli uomini e alle donne che ne hanno fatto parte.
Sempre nel mese di marzo si stabilisce che il periodo di internamento in Germania e quello di detenzione in carcere possano essere computati ai fini del servizio partigiano. Al contrario, nell’estate del 1946 verrà deciso che i partigiani che hanno varcato la frontiera italo-svizzera non possano conteggiare i giorni della loro permanenza oltralpe ai fini del riconoscimento, sebbene vengano loro corrisposti assegni di indennità come se fossero stati prigionieri.
Il termine per l’accettazione di domande di riconoscimento di qualifiche partigiane scade il 30 aprile 1946. Già in questa prima fase è evidente il grande lavoro dei membri della Commissione per definire delle procedure standard da applicare a una realtà, per sua natura difforme e magmatica, come quella del movimento partigiano. Nei venti mesi della lotta di liberazione i percorsi individuali sono stati infatti complessi e diversificati.
Al momento dell’insediamento Trabucchi si aspettava di dovere esaminare 60.000 richieste di concessione. Alla scadenza dei termini le domande ricevute ammontano a 75.187, alle quali si aggiungono 123 richieste relative ai caduti e ai feriti civili per rappresaglia.
In questa prima fase, come avrà modo di scrivere in una lettera all’Anpi nel dicembre del 1946, sulla base delle dichiarazione dell’interessato e dei comandanti delle formazioni, la Commissione giunge a riconoscere come partigiani, caduti o invalidi, anche persone che, a seguito della pubblica affissione, non risultano averne diritto. Pertanto il vaglio delle richieste diventa sempre più rigido e attento.
La Commissione, «riconosciuto che molte di tali domande si basavano su dichiarazioni di comodo, od addirittura false», decide di procedere con accertamenti a mezzo di testimonianze orali in contraddittorio. Nell’agosto del 1946 risultano esaminate in questo modo 26.318 domande. Trabucchi scrive nella relazione al Ministero che prevede di riconoscere in Piemonte circa 30.000 partigiani combattenti, «con un risparmio all’erario di circa 500.000.000 rispetto a quanto importerebbe il criterio di “umana comprensione” che qualcuno suggerisce di adottare». Più che un criterio contabile di risparmio, si pone come metro di giudizio «un criterio morale» che deve indurre la Commissione «alla severità». Se si considera che «la lotta fu condotta da una minoranza è giusto che soltanto a questa minoranza sia riservato il riconoscimento di un titolo che deve avere particolare valore».
Qualche mese dopo si presenta il problema del riconoscimento dei volontari deceduti dopo la liberazione. La risposta ai quesiti posti dalla Commissione piemontese arriva direttamente dal Ministero dell’Assistenza postbellica che indica tra i partigiani caduti riconosciuti anche coloro che sono morti in seguito a ferite o malattie contratte durante la Resistenza. Per questo motivo si prevede altresì che, ancora dopo lo scioglimento delle Commissioni stesse, tali qualifiche possano essere assegnate sulla base di un giudizio espresso da un «altro Ente a carattere permanente» con competenze su «tutti i lavori derivanti dalla nuova situazione giuridica». Si conferma infine che hanno diritto alla stessa qualifica coloro che muoiono nel periodo intercorso tra la liberazione e la smobilitazione (7 giugno 1945) per cause attribuibili alla guerra (in particolare il cecchinaggio). In questa valutazione non sono presi in considerazione i partigiani deceduti nello stesso periodo per incidenti (stradali, imprudenza nell’uso delle armi, ecc.).
Nell’ottobre dello stesso anno è attestato il rilascio, da parte dell’Ufficio stralcio del Cmrp, di 95.000 estratti di fogli notizie relativi a partigiani in attesa di riconoscimento. In questa primissima fase del dopoguerra, dopo aver ottenuto la qualifica, i partigiani risultano favoriti in alcuni ambiti professionali e acquisiscono il diritto di essere remunerati dai distretti militari. Tale situazione conferisce alla deliberazione del riconoscimento un carattere di urgenza che da un lato induce a un uso improprio dei fogli notizie, esibiti talvolta con superficialità per dimostrare l’appartenenza al movimento di liberazione, dall’altro determina la proliferazione di “falsi”. Ancora nel 1948 Trabucchi avrà modo di segnalare la diffusione di falsi fogli notizie modificati con la scolorina e presentati in vari uffici pubblici.
I tempi per ottenere i riconoscimenti e le indennità tendono a dilatarsi al di là di ogni previsione. Per questo la Commissione viene sollecitata da più parti, fatta oggetto di critiche, lamentele e alla fine di minacce, al punto che lo stesso Trabucchi deve informarne il Ministro dell’assistenza post-bellica, Emilio Sereni. Si riscontra un problema di rallentamento nei lavori della commissione legato alla verifica delle domande, che Trabucchi giustifica ancora nel dicembre del 1946, rispondendo a una rimostranza dell’Anpi di Garessio, sottolineando la necessità di una valutazione attenta («Sono state presentate a questa Commissione oltre 80.000 domande di riconoscimento di titolo di partigiano con relativa corresponsione di assegni. Ora io sono stato nel movimento fin dall’inizio e so che mai, anche sommando gli organici per sovrapposizione nel tempo, si è avuto nel Piemonte la metà di tale cifra»). Il rallentamento però condiziona fortemente l’entità del pagamento delle indennità in quanto già nel corso del 1946 si assiste a una svalutazione progressiva e costante della lira, aspetto che fa sì che le prime corresponsioni risultino più vantaggiose. Trabucchi, pur consapevole della difficoltà del provvedimento, sente il dovere di chiedere al Ministro Sereni l’«ancoramento della moneta per gli assegni agli ex partigiani», fissando il valore del denaro al gennaio 1946.
Anche i distretti, destinatari degli elenchi nominativi dei certificati predisposti dalle Commissioni, ottemperano con grande lentezza al pagamento degli assegni spettanti, spesso per motivi di natura pratica. Il distretto di Ivrea, per esempio, ritarda di quasi due anni la corresponsione, in quanto è condizionato dalla mancanza di personale a disposizione e soprattutto dall’assenza di energia elettrica che impedisce il funzionamento delle calcolatrici per il conteggio delle spettanze. A complicare l’attività dei distretti emerge la discrepanza sulla data di smobilitazione tra il Piemonte e il resto d’Italia. In un primo tempo, infatti, la Commissione piemontese aveva stabilito il termine delle operazioni militari all’8 giugno 1945 e non al 25 aprile come in altre regioni. I problemi generati da tale discrepanza sono attestati da un ingente scambio di lettere tra distretti di varie parti d’Italia, le Anpi locali e la Commissione di primo grado del Piemonte. Solo nel 1948 la data viene rettificata al 6 maggio 1945. A seguito di tale modifica i partigiani piemontesi devono fornire ai distretti di appartenenza copia originale del riconoscimento con timbro a secco che modifica la data originariamente fissata.
Le pratiche di riconoscimento danno vita a una produzione di documentazione immediatamente corposa tanto che dal 1° marzo del 1946 la Commissione si trasferisce in una sede più ampia, sita al secondo piano di un palazzina in corso Stati Uniti, 33 a Torino. L’edificio, di proprietà del conte Silvestro Brondelli di Brondello, era stato requisito il 12 aprile del 1945 dal prefetto Grazioli per insediarvi il servizio ausiliario femminile della Repubblica sociale italiane e dopo la Liberazione occupato dal Comando militare territoriale di Torino. Nel settembre del 1948 risultano impiegate trenta persone e occupate quindici stanze per i lavori della commissione e per l’archiviazione di oltre «centomila pratiche».
Alessandro Trabucchi, I vinti hanno sempre torto, Torino, De Silva, 1947
Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti” – Istoreto
– fondo Grosa Nicola, busta BFG 19, fascicolo 1
– fondo Originario, busta A70, fascicoli a, b
[Barbara Berruti; Andrea D’Arrigo]