I PARTIGIANI D'ITALIA

Lo schedario delle commissioni per il riconoscimento degli uomini e delle donne della Resistenza

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Commissione regionale Campana per il riconoscimento della qualifica di partigiano

Composizione
  • Nome: Commissione per il riconoscimento delle qualifiche partigiane per la regione della Campania
  • Giurisdizione: Campania (Puglia, Lucania e Calabria)
  • Sede: Napoli
  • Presidente: Antonino Tarsia in Curia
  • Rappresentante Ministero della guerra
    • 1. Dante Bedoni
  • Rappresentanti Anpi(date la natura e la tempistica della Resistenza in Campania, l’art. 1, comma c del d.l.l. 518/1945, che istituiva l’Ufficio, prevedeva esplicitamente, per la Campania, la presenza in Commissione di «due membri per ogni partito aderente al Cln»
    • Formazioni: Pci
      • 1. Luigi Mazzella
      • 2. Aurelio Spoto
    • Formazioni: PSIPsiupUP
      • 1. Giuseppe Benvenuto
      • 2. Vincenzo Perrone
    • Formazioni: Dc
      • 1. Nunzio Morra
      • 2. Gustavo Troise
    • Formazioni: Pli
      • 1. Carlo Di Nanni
      • 2. Mario Tagle
    • Formazioni: Pda
      • 1. Ezio Murolo
      • 2. Renato Orsini
Insediamento

La Commissione non poté avviare i lavori prima del marzo 1946 per «mancanza di locali e considerevoli difficoltà per l’arredamento degli uffici». Da quel momento si riuniva presso la sede dell’Anpi a Napoli, allora sita in Corso Umberto 174; nell’aprile 1947 si spostò in via Gemito 7, nel quartiere collinare del Vomero.
Si deve rilevare che i dodici commissari della Commissione campana furono quasi sempre tutti presenti alle riunioni e, a differenza che nelle altre Commissioni, nessuno di loro venne mai affiancato o sostituito.
Durante la prima riunione, il presidente Tarsia in Curia, a capo del Fronte Unico Rivoluzionario durante le Quattro Giornate di Napoli, definì il lavoro che la Commissione si apprestava a intraprendere come «assai delicato e molto difficile: delicato in quanto si tratta di conferire un altissimo titolo di onore al cittadino che porterà per tutta la sua vita e sarà segno di distinzione per lui; compito difficile perché dovremo ricostruire fatti ed avvenimenti a distanza di anni senza una guida sicura, in quanto che i moti insurrezionali di Napoli non hanno avuto una organizzazione preordinata» (verbale, 21 marzo 1946). Questa preliminare precisazione di Tarsia, che per il resto raccomandava scrupolosità e severità di giudizio, porta immediatamente allo scoperto una delle più evidenti criticità del lavoro della Commissione campana, relativa al fatto che tale Commissione, sebbene chiamata a valutare l’operato di uomini e donne attivi su tutto il territorio regionale – e, anzi, virtualmente, anche in regioni terze quali la Puglia, la Lucania e la Calabria – avrebbe sempre avuto una spiccata tendenza a concentrarsi, in maniera esclusiva e quasi involontaria, sugli eventi accaduti nel capoluogo e nei soli giorni dell’insurrezione. E difatti la gran parte dei riconoscimenti fu assegnata per la partecipazione alla Resistenza napoletana delle Quattro Giornate.
La “disattenzione” dimostrata nei confronti di territori diversi da Napoli portò a una generale sottovalutazione di esperienze diverse, che invece, se correttamente considerate, avrebbero arricchito il panorama della Resistenza campana e meridionale. Tutto ciò comportò un vizio preliminare nell’interpretazione della lotta campana, e finì, anche, con il porre le basi della questione annosa, e tuttora irrisolta, relativa al dibattito tra spontaneismo e organizzazione, un dibattito che tanto avrebbe influenzato la valutazione delle stesse Quattro Giornate. Una querelle prospettata, del resto, dallo stesso presidente Tarsia, che nell’aprile 1949 precisava al Sottosegretariato per l’Assistenza ai reduci e ai partigiani «[…] che nella provincia di Napoli, Caserta, Avellino, Salerno e Benevento, data la brevità della lotta, non vi furono vere e proprie formazioni partigiane, ma raggruppamenti spontanei di combattenti che si misero agli ordini di partigiani che presero l’iniziativa di comando». Tutto questo per dire che la sottovalutazione – pure nella veste della reductio ad’unum rappresentato dalle giornate partenopee – della Resistenza campana (e così meridionale) fu, in origine, anche una responsabilità interpretativa di chi ne era stato protagonista.

L’attività

Come le altre Commissioni regionali, quella campana ebbe innanzitutto il compito di attribuire le qualifiche di partigiano combattente, patriota e caduto per la lotta di Liberazione sulla scorta di ciò che stabiliva il d.l.l. n. 518 del 21 agosto 1945. La Campania, ovviamente, rappresentava un’eccezione per ciò che concerneva i “requisiti temporali” delle qualifiche, data, appunto, la “brevità” della lotta, pur volendo considerare tutto il territorio regionale, che si liberò o fu liberato, con costi altissimi, entro la fine del 1943. Stando al decreto luogotenenziale, infatti, i resistenti della Campania avrebbero potuto aspirare, al massimo, alla qualifica di patriota, ma ciò sarebbe risultato quantomeno discriminatorio. E così ai richiedenti il riconoscimento per la Resistenza in Campania fu applicato, con notevole generosità, il comma 7 dell’articolo 7 del decreto, che prevedeva l’attribuzione della qualifica di partigiano combattente «a coloro che, a nord o a sud della linea Gotica, [avessero] svolto attività od azioni di particolare importanza a giudizio delle Commissioni».
L’esame delle pratiche da parte della Commissione campana prese avvio durante la quarta riunione, tenutasi il 16 aprile 1946. Da quella data i verbali si riempiono di elenchi di nominativi con le qualifiche ottenute o negate, senza tuttavia che vi siano accenni alle ragioni del conferimento o dell’esclusione, che scaturivano dall’analisi preliminare svolta da una sottocommissione appositamente nominata e che al termine dell’indagine esponeva i risultati in seduta plenaria. Il metodo d’indagine delle sottocommissioni, che andò affinandosi con il passare dei mesi, comprendeva l’utilizzazione di una «rete d’informatori di fiducia», cioè persone informate dei fatti, a conoscenza dello svolgersi degli episodi resistenziali – perlopiù, si ribadisce, i vari momenti dei quali si compose l’evento Quattro Giornate – e in grado di attestare la presenza, la partecipazione e il contributo, in termini quantitativi e qualitativi, del richiedente il riconoscimento. Ovviamente, il sistema aveva delle falle evidenti, a partire dall’esclusione di tutto il resto dell’area regionale, ma la Commissione non aveva saputo né potuto scegliere strade alternative. Tarsia metteva tutto a verbale, senza infingimenti, convinto della necessità di individuare un metodo – a partire proprio dalla fiducia in quella rete di informatori – che superasse anche le difficoltà “ideologiche” che la Commissione si trovava ad affrontare:

    «[…] in principio le difficoltà sembravano insormontabili; ma, in seguito, costituita una rete d’informatori di fiducia, il lavoro ha avuto un procedimento più regolare e si sono avuti risultati più sicuri. Ora per seguire questa organizzazione era necessario che noi procedessimo ad un certo numero di riconoscimenti, e fra questi ad un piccolo gruppo di persone ben conosciute dalla Commissione, sulle quali poter fare assegnamento. […] in principio sembrava che gli organi di Polizia facessero quasi ostruzionismo al nostro lavoro; nel senso che o non rispondevano o dichiaravano di non sentirsi obbligati a rispondere. Tutto ciò aveva la sua spiegazione poiché gli organi di Polizia ignoravano l’esistenza della Commissione, né conoscevano le facoltà concesse ad essa con il D.L.L. del 21 agosto 45, n. 518» (verbale, 29 dicembre 1946).
Altre questioni

Come già scritto, la Commissione si occupò anche, fin dalle prime riunioni, dei ricorsi avverso riconoscimenti già assegnati e dei reclami, di natura diversa, che man mano pervenivano.
Compito della Commissione era inoltre quello di interrogare i richiedenti il riconoscimento, nel caso in cui la sottocommissione incaricata non ritenesse sufficiente la documentazione scritta sulla quale si basava la domanda di qualifica. Spesso questi interrogatori si protraevano per più sedute e riguardavano più testi. I verbali che riportano la sintesi di tali interrogatori potrebbero essere proficuamente utilizzati per la ricostruzione di episodi controversi o meno noti della Resistenza campana, o meglio delle Quattro Giornate di Napoli, poiché sono relativi solo a esse. La fonte attesta anche la diffusione di alcune pratiche di malaffare, come la compravendita di moduli per il riconoscimento o di testimonianze a favore.
Ancora, la Commissione regionale avanzava proposte per l’assegnazione di onorificenze. Il primo nome esaminato fu quello di Gennaro Capuozzo, riconosciuto partigiano combattente caduto mentre prendeva parte all’insurrezione napoletana, proposto per la medaglia d’oro alla memoria, che gli sarebbe stata assegnata immediatamente.
La Commissione fu coinvolta anche nella preparazione della mostra internazionale della Resistenza italiana presentata a Parigi durante la conferenza di pace del 1946. Nella seduta del 19 aprile 1946 il presidente Tarsia invitò gli altri membri a «presentare, nel più breve tempo possibile, una relazione con dati statistici sulle “quattro Giornate” napoletane».
Nel dicembre di quell’anno, come per le altre Commissioni, si predispose l’insediamento, presso la Commissione campana, di un ufficio che si occupasse delle pensioni di guerra per le famiglie dei caduti e dei partigiani mutilati.

Difficoltà e problemi

Lo studio sistematico dei materiali della Commissione, nonché di tutto il materiale Ricompart relativo alla Campania, risulta, a una prima ricognizione, molto utile a indagare, anche per il clima politico in cui l’ente lavorò in quel difficile dopoguerra. L’evidente “insicurezza” con la quale la Commissione campana si muoveva, non tanto nelle rivendicazioni dinanzi al ministero – che non mancarono, e furono di tipo strettamente salariale – quanto nella gestione delle polemiche e dei veri e propri attacchi di cui fu bersaglio, è un segnale piuttosto chiaro della diversa temperie geopolitica in cui si abbatté il Paese, acuita dal fatto che il Mezzogiorno, invece, proveniente da una storia indubbiamente diversa rispetto al Nord, era ormai, in quel lungo dopoguerra, terra di restaurazione di vecchi apparati, di voto monarchico e qualunquista, e di un ormai prolungato controllo straniero. La Commissione, organo ministeriale che inevitabilmente istituzionalizzava la Resistenza, finiva con l’apparire creatura estranea, non avendo neanche, a Napoli, in Campania e in gran parte del Mezzogiorno, una solidissima derivazione ciellenista alle spalle.

Fonti e bibliografia

Antonio Aversa, Napoli sotto il terrore tedesco. Contributo alla storia degli avvenimenti dall’Armistizio alla Liberazione, Napoli, s.e., s.d. [ante 1947]
Gianni Cerchia, La memoria tradita. La seconda guerra mondiale nel Mezzogiorno d’Italia, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2016
Isabella Insolvibile, «Per la liberazione della amata Italia»: la Resistenza campana nel fondo Ricompart, in La partecipazione del Mezzogiorno alla Liberazione italiana (1943-1945), a cura di Enzo Fimiani, Firenze, Le Monnier, 2016.
Ferdinando Isabella, Napoli dall’8 settembre ad Achille Lauro, Napoli, Guida, 1980.
Verbali del Comitato di Liberazione Nazionale Napoletano (12/XII/1943 – 9/VIII/1946), a cura di V. Lombardi, G. Venditto, Consiglio Regionale Campania, Napoli, 1995.

Archivio Centrale dello Stato:
– Ricompart, busta Campania-Verbali di sedute-Registro Mod. P. e C.-Visite mediche (Registri), primo registro e secondo registro
– Ricompart, busta Campania-Elenchi di pubblicazione e verbali
– Ricompart, busta Campania-Verbali dal 1 al 7075

[Isabella Insolvibile]