I PARTIGIANI D'ITALIA

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Le diverse Brigate Garibaldi

Nonostante il collegamento diretto con il PCI, le Brigate Garibaldi annoverarono capi di grande prestigio e capacità che non erano militanti comunisti, come il cattolico ed apolitico Aldo Gastaldi (nome di battaglia “Bisagno”), uno dei comandanti partigiani più importanti a Genova, l’apolitico Mario Musolesi, nome di battaglia “Lupo”, capo della Brigata Partigiana Stella Rossa ucciso dai tedeschi durante il rastrellamento di Marzabotto, l’anarchico Emilio Canzi, comandante unico della XIII zona operativa Appennino Tosco Emiliano. Inoltre Aldo Aniasi rimase al comando della 2ª Divisione Garibaldi “Redi” in Val d’Ossola nonostante avesse lasciato il PCI per aderire all’organizzazione del PSI, e Luigi Pierobon, uno dei dirigenti della FUCI veneta, ebbe parte importante nella costituzione della Divisione Garibaldi “Ateo Garemi”.

Queste situazioni portarono anche a diatribe e contrasti che però non diminuirono la comune volontà di lotta antifascista e la relativa applicazione in combattimento. Queste personalità erano dotate di qualità di comando, capacità di mantenere la coesione dei reparti e valore militare e quindi preferivano combattere in una organizzazione efficiente, anche se non condividevano gli ideali comunisti, piuttosto che disperdersi e dirigere bande di scarsa efficienza.

I raggruppamenti più famosi, combattivi ed efficienti delle Brigate Garibaldi, diffuse ed attive peraltro in quasi tutto il territorio occupato, furono quelli di Vincenzo Moscatelli “Cino” e Eraldo Gastone “Ciro” nella zona libera della Valsesia, di Pompeo Colajanni “Barbato” , Vincenzo Modica “Petralia” e Giovanni Latilla “Nanni” nella valle Po e nelle Langhe, di Francesco Moranino “Gemisto” nel Biellese, di Mario Ricci “Armando” nel Modenese, di Arrigo Boldrini “Bulow” nella Romagna.

Associati alle Brigate Garibaldi erano i Gruppi di azione patriottica (GAP), che nelle città operavano azioni di sabotaggio e attentati contro gli occupanti nazifascisti. In totale esse rappresentavano circa il 50% delle forze della Resistenza partigiana. Al momento dell’insurrezione finale dell’aprile 1945, i garibaldini attivamente combattenti erano circa 51.000 divisi in 23 “divisioni”, su un totale effettivo di circa 100.000 partigiani. In dettaglio il comando generale delle Brigate Garibaldi disponeva, alla data del 15 aprile 1945, di nove divisioni in Piemonte (15.000 uomini); tre divisioni in Lombardia (4.000 uomini); quattro divisioni in Veneto (10.000 uomini); tre divisioni in Emilia (12.000); quattro divisioni (10.000 uomini) in Liguria.

Nell’ambito delle forze militari della resistenza, le Brigate Garibaldi costituirono il gruppo più numeroso e organizzato con 575 formazioni organiche, tra squadre, gruppi, battaglioni, brigate e divisioni; parteciparono alla maggior parte dei combattimenti e subirono le perdite più pesanti, oltre 42.000 morti in combattimento o per rappresaglia. I partigiani garibaldini mantennero durante tutta la Resistenza i loro elementi esteriori di riconoscimento e di affermazione politica: fazzoletti rossi al collo, stelle rosse sui copricapi, emblemi con falce e martello. Nonostante le precise direttive del comando del CVL dirette all’unificazione di tutte le formazioni combattenti ed all’impiego di distintivi nazionali e del saluto militare, i militanti delle brigate continuarono a mostrare indifferenza per queste disposizioni e attaccamento alle loro tradizioni, la grande maggioranza continuò a salutare con il pugno chiuso.